01/05/2010 - 13.19
di Mario Andrea Salluzzo. Ciò che manca maggiormente nell’iter separativo è la prevenzione al conflitto. La prevenzione dovrebbe essere fatta attraverso la preparazione dei coniugi ad affrontare la separazione/divorzio. I problemi della trasformazione familiare non possono essere trattati con provvedimenti giudiziari che calano dall’alto e spesso danneggiano i cittadini che hanno l’unico torto di essere impreparati ad affrontare un evento così sconvolgente per la loro esistenza. La separazione costituisce un evento stressante che provoca la regressione psicologica con la conseguente riduzione della capacità di giudizio e controllo dei propri impulsi, comportando così il rischio di procurare un danno – quanto meno psicologico - a se stessi e agli altri. Lo Stato dovrebbe avere il compito di sostenere ed educare i cittadini alla riflessione riguardo temi cruciali come le problematiche relative alla rottura e riformazione di sistemi familiari (Mazzoni S., 2002), ivi compresi tutti gli aspetti squisitamente giuridici che ne derivano.
L’unica via percorribile, in tal senso, dovrebbe essere quella, innanzitutto, della istituzione obbligatoria di gruppi di preparazione alla separazione e divorzio, finalizzati al raggiungimento della consapevolezza degli aspiranti ex coniugi che la tanto agognata liberazione spesso esige un iter più articolato e meditato rispetto a quanto si illudano, e che, tanto maggiore è il conflitto, tanto maggiore dovrà essere il loro impegno e, purtroppo, la sofferenza. Attualmente stanno crescendo sempre più le iniziative, sia in Italia che all’estero, per diffondere la cultura dell’intervento psicologico di preparazione alla separazione e al divorzio. Associazioni e centri di studio per la mediazione familiare e/o la terapia familiare già forniscono come servizio quello di gruppi di orientamento, sensibilizzazione alla responsabilità genitoriale e sostegno psicologico per chi deve affrontare il difficile passo del cambiamento del proprio equilibrio familiare. Sono gruppi che a volte comprendono, oltre ai genitori, anche i nonni, gli insegnanti, i nuovi partner e chiunque che, a vario titolo, abbia una certa rilevanza affettiva o educativa per i figli.
Un altro intervento mirato a favorire la prevenzione, attraverso la mentalizzazione e la responsabilizzazione, dovrebbe essere la valutazione routinaria del disagio di coppia. Ogni situazione di separazione necessita di una chiara diagnosi e di un’indicazione di trattamento psicopatologico, qualora ce ne sia il bisogno. L’obbligo di legge dovrebbe riguardare solo quello di sottoporsi ad un iter diagnostico e ricevere l’eventuale indicazione di trattamento, lasciando poi alle coppie, dopo aver metabolizzato l’esito della valutazione, la responsabilità di comportarsi di conseguenza, naturalmente di concerto col giudice. A tale fase dovrebbero partecipare non solo i coniugi ma anche i figli minori che abbiano sufficiente maturità, i parenti più significativi e chiunque sia importante per il mantenimento dei futuri equilibri familiari.
Come già detto, avrebbe senso e legittimità da parte di una futura normativa solo la richiesta di operare la prevenzione del conflitto attraverso un iter preparatorio per gli aspetti giuridici e psicologici, nonché un iter diagnostico, prima di adire alle udienze di separazione e divorzio in tribunale.
Ciò avrebbe una grande utilità sia per la prassi giuridica che per la maturazione psicologica della coppia. Effettuare un iter di preparazione alla separazione ed avere una diagnosi specialistica sul caso creerebbe le reali possibilità di svolgere ciò che attualmente è ridotto ad essere una mera formalità vuota di contenuti, e cioè il tentativo di riconciliazione del giudice in sede di udienza di separazione. Non solo, andrebbe anche effettuata un’analisi della domanda (Carli, 1993) sulla richiesta di separazione/divorzio fatta dai coniugi. Tale analisi dovrebbe essere fatta, sia dallo psico-professionista incaricato di stilare una relazione da allegare alla richiesta di separazione/divorzio (anche sulla base di quanto emerso nella partecipazione dei coniugi ai gruppi di preparazione o altri eventuali trattamenti), sia dal giudice, sulla base di tale relazione e di altri elementi che riterrà opportuni.
Il compito principale dell’analisi della domanda di separazione/divorzio dovrebbe essere quello di distinguere le buone richieste da quelle cattive. Cioè dare al magistrato e alla coppia una diagnosi – e di conseguenza una prognosi – sulla loro situazione. Le separazioni/divorzio benigne sarebbero quelle in cui la semplice cessazione del coniugio non arrecherà ulteriori conflitti giudiziali in campo economico, abitativo e di affidamento dei figli. Il contrario per quelle maligne.
Fino ad ora, sembrano essere insufficienti, per affrontare i casi maligni, le modifiche normative (L. 54-2006) che hanno introdotto l’affido bigenitoriale come modalità standard di affidamento. Il che non ne inficia l’utilità, dal momento che potranno sempre essere adottati, eventualmente, gli opportuni correttivi. Il fine sarebbe quello di ridurre il fenomeno dell’emarginazione dei genitori non collocatari (solitamente i padri) dalla vita dei figli. Tale lodevole intento purtroppo mal si concilia con la realtà delle dinamiche psicologiche, che non prevedono una risanabilità della conflittualità o della disaffezione in forza di legge. In altri termini, la legge non ha presa sugli affetti, tanto è vero che le coppie in crisi già hanno infranto i termini di legge relativi all'istituto giuridico del matrimonio, per l’appunto, o col conflitto, o col tradimento o con l’abbandono, ed è per quello che adiscono alla separazione.
Se bastasse la norma giuridica, sarebbe sufficiente imporre delle severe norme a chi soffre di disturbi mentali per vederli magicamente risanati. Ma come sanno tutti coloro che operano nel campo della salute mentale, ed anche molte persone dotate di buon senso, la criminalizzazione dei malati di mente non porterà mai alla loro guarigione, ma solo alla disumanità.
Probabilmente, nel campo della separazione/divorzio, l’unico effetto che avrebbe l’inasprimento di pene e/o sanzioni sarebbe quello di rendere ancora più subdole le strategie disfunzionali e disumani i provvedimenti, rispetto a quanto accada attualmente.
Che l’affidamento bigenitoriale sia quello preferibile, tanto per il normale sviluppo dei figli che per evitare al genitore non affidatario ulteriori sofferenze, non c’è dubbio. La questione è che la la bigenitorialità, nei casi di affidamento in coppie conflittuali o di genitori abbandonanti, può considerarsi solo un traguardo da raggiungere faticosamente più che una premessa da imporre ex lege.
Sicuramente l’istituzione di sezioni del tribunale dotate di particolare competenza e snellezza, destinate unicamente al trattamento di questioni familiari, potrebbe ridurre la conflittualità giudiziaria e il suo uso improprio. Ad esempio, si potrebbe ipotizzare un Giudice Unico, incaricato di trattare tutte le questioni relative ad una coppia nell’iter di separazione/divorzio, sia in campo civile che penale. Ciò eviterebbe la dispersione e lo scollegamento dei vari procedimenti che attualmente possono, verificandosi in ambiti diversi, operare una vera e propria frantumazione dell’iter giuridico. Sarebbe un modo per evitare l’inconcludenza, l’uso strumentale-perverso e l’interminabilità delle conflittualità giudiziarie; fenomeno che è stato definito come perversione dell’acting out giudiziario.
Importantissimo è il ruolo della prevenzione, che solo un iter preparatorio e diagnostico potrebbero favorire. Sulle misure giuridiche e le tecniche psicologiche da adottare nei casi maligni è troppo presto per definire uno scenario futuro. Sarebbe sicuramente utile la creazione - con la collaborazione e/o la gestione di associazioni direttamente coinvolte nella problematica – di spazi istituzionali e strutture deputati al contenimento della conflittualità, al mantenimento dei rapporti tra genitori e figli, o alla ricostruzione di rapporti familiari deteriorati; veri e propri luoghi sociali di ricezione, di bonifica e rinnovamento trasformativo del disagio. Per dirla con Bion (1962), uno spazio di reverie isituzionale, un grembo materno istituzionale che permetta alle famiglie di tollerare il proprio disagio, rendendo così possibile la crescita della mentalizzazione. Si potrebbe pensare ad organizzare attività sociali e di gruppo per famiglie e/o genitori separati/divorziati e per i loro figli, finalizzate al trattamento psicoterapeutico o anche al solo sostegno, oppure destinate alla semplice frequentazione, necessaria per riempire i vuoti lasciati dagli sconvolgimenti familiari. Non bisogna dimenticarsi che molte famiglie, dopo la rottura dei loro equilibri, finiscono col sentirsi diverse rispetto alle altre, spesso isolandosi tra le mura domestiche, oppure rintanandosi regressivamente nella ripresa dei rapporti con le famiglie d’origine.
Un ultimo aspetto, di non minore importanza, riguarda la preparazione professionale e l’atteggiamento deontologico degli operatori del campo. Infatti, essendo basato sulla conflittualità, sull’individuazione di colpe ed erogazioni di provvedimenti, che - anche se formalmente non sono punitivi - possono sempre essere strumentalizzati dalle parti al fine della vendetta, della ritorsione o dell’estorsione, il contesto giudiziario finisce per apportare danni aggiuntivi a quelli già esistenti. Giudici, avvocati, consulenti, assistenti sociali, ecc., per poter lavorare in ambito familiare, dovrebbero avvalersi di una formazione universitaria speciale finalizzata ad evitare la strumentalizzazione conflittuale della giustizia, rendendone così l’operato effettivamente riparatorio.
Per prevenire un conflitto separativo e risolverne immediatamente almeno la metà, basta eliminare l'oggetto del condentere. Sembra una chimera, ma sarebbe più semplice di quanto siamo abituati a immaginare, diseducati da istituzioni giuridiche farraginose e corrotte. 3 sono i parametri che compongono la formula della soluzione del problema:
RispondiElimina1) Eliminazione degli orari di visita (libertà individuale e non detenzione coatta)
2) Eliminazione dell'assegno di mantenimento, mediante il Mantenimento diretto.
3) Eliminazione dell'esproprio di stato della casa di proprietà, soltanto applicando l'art.155 quater "considerare il titolo di proprietà". Assegnare l'unica casa del marito alla moglie, che ne ha altre 2, significa debellare la figura paterna dallo scenario genitoriale.
Poi, se si volesse perfezionare il quadro, basterebbe eliminare gli interessi degli avvocati nelle disgrazie della gente.