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lunedì 10 maggio 2010

ISTAT: in Italia la prima causa di morte degli uomini è per mano femminile.


Siete sorpresi nel leggere questa affermazione ? Fate bene, è falsa. Dopo un primo istante di smarrimento chiunque avrà capito come il titolo di questo articolo (e solo il titolo, non il contenuto....) sia una burla, un "pesce d'aprile" un pò tardivo.

Ma lo scherzo che l'ISTAT si è prestato a fare, su commissione del Ministro delle Pari Opportunità di allora (in collaborazione con i centri antiviolenza....), non è stato per niente un pesce d'aprile, ma la scientifica preparazione del terreno per l'emanazione delle leggi "ad interesse femminile", prima tra tutte quella sullo stalking.

Peccato che mentre "...l'Italia si è dotata, finalmente, di una legge che protegge le donne dagli atti persecutori..." (Ministro Mara Carfagna, al TG2 di un mesetto fa), chi l'ha concepita non ha calcolato che almeno il 25% delle vittime di stalking sono uomini (per ammissione della stessa Carfagna, sempre al TG2 - dati Ministero Interno). Ma questa è un'altra storia, non usciamo fuori tema.

L'ISTAT, dicevamo.

"Se vuoi influenzare la pubblica opinione, devi spararla grossa", diceva l'"innominabile" del ventennio (quello fascista, non quello berlusconiano, che è altra cosa), "...ma devi sparare bene". E così ha fatto il nazionale istituto di statistica, ammantando di scientificità e precisione i dati che hanno sancito una delle più grandi azioni di disinformazione che mai si siano viste in Italia proprio dalla fine del fascismo.

I dati di cui vi parleremo, infatti, hanno procreato una selva di false informazioni sulla violenza degli uomini che, pressappoco, si sintetizzano così: la prima causa di morte delle donne in Italia è per mano maschile.

Niente di più falso. Colpisce ma i dubbi superano l'enormità dell'affermazione: i tumori e le malattie cardiovascolari, dove le mettiamo ? Rapportando quell'assunto ai dati relativi alla mortalità (meno di 1.000 omicidi annui di donne contro 100.000 decessi femminili per malattie varie) ci si farebbe una risata, ma qui la cosa è seria. Questo falso dato, peraltro ripreso da autorevoli giornaliste di importanti testate ("Repubblica delle donne", in primis), è il naturale "portato popolare" dello studio di cui vi parliamo, spacciato anch'esso come serio ma impossibile da bollare come risibile, a prima vista, se non dopo una attenta analisi.

"Il bello è che la ricerca sarà costata almeno un milione di euro ai contribuenti", spiega Fabio Nestola, cioè colui che ha esaminato minuziosamente tutte le note metodologiche dell'ISTAT (misteriosamente sparite dal sito ma ben conservate dalla FeNBi per futuri utilizzi) ed ha smascherato le "carenze" che hanno finito con il falsare i dati sulla violenza in famiglia. Leggiamo le sue considerazioni nel dettaglio.

"La violenza domestica, afferma Nestola, costituisce una tipologia di reato in costante espansione, complesso da analizzare in quanto la tendenza degli autori a contenere gli episodi entro le mura domestiche incontra frequentemente la connivenza più o meno passiva delle stesse vittime. Siamo pertanto in presenza di un fenomeno sommerso, del quale non è facile tracciare i contorni.

Una conoscenza approfondita del fenomeno nel suo insieme, tuttavia, è essenziale per lo sviluppo delle politiche e dei servizi necessari, a partire dalle campagne di sensibilizzazione per arrivare alle contromisure legislative finalizzate a prevenire e/o contenere la violenza.

Va rilevato come inchieste, sondaggi e ricerche che analizzano la violenza di cui è vittima la figura femminile vengono proposte con continuità a livello istituzionale e mediatico, da diversi decenni.

Di contro, non esistono in Italia studi ufficiali a ruoli invertiti; vale a dire approfondimenti sulla violenza agita da soggetti di genere femminile ai danni dei propri mariti o ex mariti, partners ed ex partners, parenti a affini di vario grado.

Questa curiosa e pluridecennale lacuna può avere origine da due presupposti:

  1. aggressività e violenza femminile non esistono
  2. se esistono, sono legittimate; pertanto non è interesse della collettività studiare alcuna misura di prevenzione e contenimento.

Entrambi i presupposti sono, evidentemente, paradossali.

L’indagine sulla violenza in famiglia subita dalle donne, pubblicata dall'ISTAT, prevede diverse batterie di domande relative alla violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica. Da un campione di 25.000 interviste, trasportato in dimensione nazionale, risulta una proiezione di circa 7.000.000 di donne che subiscono violenza dal proprio partner o ex partner.

Dati allarmanti, che vengono propagandati con continuità.

Analizzando con cura il questionario somministrato dall’ISTAT, viene però da chiedersi se detto questionario non sia stato elaborato con il preciso obiettivo di far emergere dati numericamente impressionanti, sui quali costruire un allarme sociale.

Il questionario è stato studiato in collaborazione con le operatrici dei centri antiviolenza[1], per cui era difficile immaginare che ne sarebbero potuti uscire dati non faziosi. L’impatto sull’opinione pubblica, infatti, è generato dal dato conclusivo – 7.000.000 di vittime – senza approfondire da cosa scaturisca questo dato.

Oltre ai quesiti su violenza fisica (7 domande) e sessuale (8 domande).), il questionario ISTAT lascia uno spazio ben maggiore alla violenza psicologica (24 domande).

Alcuni dei quesiti, però, sembrano finalizzati a raccogliere un numero enorme di risposte positive, descrivendo normali episodi di conversazione sicuramente accaduti a chiunque, che risulta difficile configurare come “violenza alle donne”. Ad esempio:

- l'ha mai criticata per il suo aspetto ?

- per come si veste o si pettina ?

- per come cucina ?

- controlla come e quanto spende ?

Ai fini statistici non c’è differenza fra un atteggiamento aggressivo e denigratorio ed un consiglio pacato, collaborativo, spesso indispensabile, a volte anche migliorativo.

cucini da schifo, ti ammazzo di botte se non fai un arrosto decente” è sicuramente violenza, ma lo diventa anche “cara, oggi il risotto non è venuto bene come la volta scorsa”.....

Oppure: “con quei capelli sembri una puttana, ti spacco la faccia se non li tagli” è sicuramente violenza, ma lo diventa anche “questo taglio non ti dona, magari fra due giorni mi abituerò, ma ti preferivo con la pettinatura precedente”.

Oppure ancora: “non ti do una lira, se vuoi i soldi per la profumeria vai a prostituirti” è sicuramente violenza, ma lo diventa anche “non ce la facciamo, mettiamo via i soldi per il mutuo, purtroppo questo mese niente palestra per me e parrucchiere per te”.

L’intervistata risponde affermativamente, quindi le intervistatrici possono spuntare la voce “violenza”, senza che l’intervistata lo sappia.

Infatti la domanda non comporta le diciture esplicite “aggressività, violenza, umiliazione”; si limita a chiedere se un episodio è accaduto, poi è l’intervistatrice che lo configura come violento anche se l’ignara intervistata non lo percepisce affatto come tale.

L’ISTAT, infatti, per giustificare l’equivoco sul quale è costruito il questionario, ammette che le intervistate spesso non hanno la percezione di aver subito violenza. A tale scopo aggiunge alle note metodologiche questa dicitura: Le domande tendono a descrivere episodi, esempi, eventi di vittimizzazione in cui l’intervistata si può riconoscere. La scelta metodologica condivisa anche nelle ricerche condotte a livello internazionale è stata dunque quella di non parlare di “violenza fisica” o “violenza sessuale”, ma di descrivere concretamente atti e/o comportamenti in modo di rendere più facile alle donne aprirsi.

Il dettaglio e la minuziosità con cui si chiede alle donne se hanno subito violenza [2], presentando loro diverse possibili situazioni, luoghi e autori della violenza, rappresenta una scelta strategica per aiutare le vittime a ricordare eventi subiti anche molto indietro nel tempo e diminuire in tal modo una possibile sottostima del fenomeno. Sottostima che può essere determinata anche dal fatto che a volte le donne non riescono a riconoscersi come vittime e non hanno maturato una consapevolezza riguardo alle violenze subite, mentre possono più facilmente riconoscere singoli fatti ed episodi effettivamente accaduti.

Presentando il rapporto, poi, l’ISTAT scrive: Le forme di violenza psicologica rilevano le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di isolamento, le intimidazioni, le limitazioni economiche subite da parte del partner.

Anche frasi innocue come “la frittata oggi è un po’ sciapa”, oppure “ti preferivo senza permanente” vengono classificate come denigrazioni, quindi diventano una forma di violenza alle donne.

Ecco come nascono 7.000.000 di vittime.


Fonte: http://www.adiantum.it/public/468-istat--in-italia-la-prima-causa-di-morte-degli-uomini-%C3%A8-per-mano-femminile.asp

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