La medicina scientifica non studia, né tiene conto del sapere filosofico, perché ritenuto superfluo o ancor peggio non inerente al sapere medico.
“Il medico che è pure filosofo, è simile agli Dei. Tutte le qualità del buon filosofo devono trovarsi anche nel medico: disinteresse, contegno dignitoso, modestia, cognizione delle cose utili e necessarie, serietà, giudizio sereno, purezza di vita, affrancamento dalla superstizione, divina superiorità dello spirito”. (… dagli Aforismi di Ippocrate).
Eppure sappiamo che ogni uomo prima che corpo è anche mente pensante, e che solo l’attuale positivismo si è allontanato dal pensiero filosofico. Nella naturopatia, invece, si concerta il sapere scientifico con una umanizzazione della medicina.
La salute è il risultato di una rete di processi complessi e numerosi che prima di tutto si realizzano nella mente dell’uomo. Leggendo gli scritti di alcuni grandi filosofi si rimane stupiti e sorpresi di quanto fossero portatori di un pensiero salutistico perfettamente collimante con ciò che in naturopatia si persegue.
Dal naturalismo al vitalismo, dall’evoluzione spiritualistica al migliorismo e così via, si possono cogliere in numerosi orientamenti filosofici gli elementi basilari di un sapere naturopatico.
Personaggio inquietante quale Empedocle (vissuto nel V sec. a.C.), famoso filosofo greco, considerato un maestro esoterico con doti taumaturgiche, si occupò della conoscenza della natura esposta nella sua opera “Sulla natura”. Filosofo del periodo presocratico che con la dottrina delle quattro “radici” (rhizomata) eterne, introdusse quelli che vennero poi chiamati i quattro elementi della natura: terra, acqua, fuoco e aria, che daranno origine in Ippocrate alla dottrina dei quattro umori.
Anche Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.), grande storico, nel suo trattato “Naturalis historia” (Storia Naturale) composto da 37 volumi dedicati all’imperatore Tito, riportava l’importanza del ricorso alla sana alimentazione e allo stile di vita, trattando anche la botanica, la medicina e l’erboristeria. Così Aulo Cornelio Celso (sec. I), chiamato con il nome di “Cicerone della medicina” decantava le virtù dell’individuo, la purezza d’animo e la morigeratezza della vita, in sintonia con Ippocrate.
Nel suo “Illuminismo rovesciato” Jean Jacques Rousseau (1712 - 1778), pone la libertà naturale a discapito di quella civile (artificiale) nella quale è continuamente presente il rischio del degrado e della corruzione, e nell’Emilio scriveva: “Tutto è bene, quando esce dalle mai dell’Autore delle cose; tutto degenera fra le mai dell’uomo”. E’ nel puro ambiente naturale a contatto con gli elementi incontaminati che l’uomo può formarsi, crescere e svilupparsi. Non l’educazione, ma il contatto con la natura permettono di forgiare il vero uomo. L’ottimismo antropologico roussoiano arriva ad esasperare il pensiero dell’uomo selvatico, che a contatto con la natura trova tutto ciò che può vivificarlo e sanarlo; uno stato di natura per vivere “liberi, sani, buoni e felici”.
L’apoteosi del valore della natura trova in Goethe (1749 – 1832), il suo promotore. Così come il corpo permette di giungere all’anima, nello stesso modo la natura permette di raggiungere Dio. Per Goethe la natura è l’abito vivente della divinità e l’equilibrio diviene il mezzo per realizzare il perfetto connubio fra Natura e Spirito. Per Goethe l’equilibrio è considerato alla stregua della fede; è il rapporto equilibrato tra gli opposti che genera l’armonia di tutte le azioni umane. E’ la natura l’unica ispiratrice, perché in essa l’uomo può rintracciare la normalità della propria natura, superando il dualismo, la bipolarità; per Goethe il colore è il risultato dell’equilibrio tra buio e luce.
In natura ci sono due tendenze universali in apparente opposizione: concentrazione ed espansione, protese verso un continuo accrescimento, attraverso la formazione prima e la trasformazione poi; in una continua metamorfosi secondo una armoniosa tendenza. La concezione metafisica della natura portò Goethe a cercare l’archetipo della forma delle piante nella foglia, basandosi sulla concezione del bipolarismo di contrazione ed espansione. Una pianta primordiale che prefigurava la crescita armonica di tutto il regno vegetale.
Hölderlin con il suo ottimismo per un futuro libero, concepisce la realtà come un divenire vitale ed armonioso. L’uomo può con uno slancio d’amore e bellezza, trovare la propria realizzazione in un futuro pacificato. Quale bellezza più grande se non l’arte, nella quale si rivela all’uomo l’infinito! Anche la sofferenza ha un proprio motivo d’essere, perché sprona alla comprensione della necessità dell’unione con il divino. “Essere uno col tutto, questa è la vita degli dei, e il cielo dell’uomo! Essere uno con tutto ciò che vive, tornare, in un beato divino oblio di sé, nel tutto della natura, questo è il vertice dei pensieri e delle gioie, questa è la Sacra vetta del Monte, la sede dell’eterna quiete”. (Hölderlin, Iperione).
In Schelling (1775 – 1854) la Natura assume l’iniziale maiuscola, perché in essa è lo spirito assoluto che si mostra. Ogni cosa che la compone è animata e ogni sua manifestazione è il palesarsi dello spirito universale che la governa. E’ nell’arte che l’uomo può cogliere il meglio ed avvicinarsi ad essa.
“La visione, che il filosofo si fà della natura artisticamente, è per l’arte quella originaria e naturale. Ciò che noi chiamiamo natura è un poema, che giace chiuso in una scrittura misteriosa e meravigliosa. Ma se l’enigma si potesse svelare, noi vi conosceremmo l’odissea dello spirito, il quale per mirabile illusione, cercando se stesso, fugge da se stesso; poiché si mostra attraverso il mondo sensibile solo come il senso attraverso le parole, solo come, attraverso una nebbia sottile, quella terra della fantasia alla quale miriamo”. (Schelling, Sistema dell’Idealismo trascendentale).
Nel contigentismo di Boutroux (1854 – 1921) è il concetto di causa che governa la natura. Tra causa ed effetto, quest’ultimo si presenta come novità, tanto da attendersi in ogni processo naturale anche l’ imprevedibile, ovvero il contingente. La natura è un continuo creare e non è possibile ridurre la scienza della natura a dati così come operano i meccanicisti e come pensano i deterministi. Essa creando si rinnova e muta, e nulla può essere fissato con certezza; ad esempio affermare che l’acqua è uguale ad H2O, vuol solamente dire che essa è formata da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, ma in realtà la molecola dell’acqua è qualcosa di più e di nuovo rispetto ai due elementi che la compongono.
In Maurizio Blondel (1861 – 1949) tutta la creazione viene intesa permeata da un pensiero universale propulsore, che spinge tutto ciò che la compone, ad un continuo rinnovarsi verso stati di coscienza più ampliati. Il generatore assoluto di tale impulso vitale è Dio stesso, quale sorgente infinita e suprema. E’ grazie ad una volontà libera di esprimersi al meglio che l’azione permette di passare da un livello inferiore ad uno superiore, verso una necessità spirituale. “Se io non sono ciò che voglio essere, io non sono affatto. L’intera natura delle cose e la catena delle necessità che pesano sulla mia vita non sono che la serie di mezzi che io debbo volere, che io voglio in effetti, per compiere il mio destino”. (Blondel, L’azione). E’ la volontà volente che permette di superare il limite della volontà voluta, la prima esprime il potere dell’uomo che spinge verso la realizzazione dell’io integrale. E’ la volontà volente che può portare l’uomo oltre il limite d’appartenenza, un limite che sempre si presenta essendo lo stato ideale che si protrae all’infinito. “Esiste un’inclinazione fondamentale, un’aspirazione infusa, una volontà volente che è con ragione chiamata voluntas ut natura; e, poiché questo volere implicito non si sviluppa verso il suo fine supremo che parzialeggiando attraverso beni transitori e finiti, sussiste anche una volontà voluta, una volontà esplicita che può mettersi in conflitto con lo slancio da cui procede e rimanere al di qua del proprio fine”. (Ibidem).
In Blondel è lo slancio, lo sforzo interiore e quindi il cambiamento al meglio che tramite l’azione, permette di spingersi verso quell’acquietamento spirituale che solo nel volere divino può trovare la propria realizzazione. “La nostra azione non mira ad una messe egoista; essa tende invincibilmente ad una vita che non si limita nemmeno ai semplici fenomeni sociali, ma che attraverso questi porta ad un’unione più profonda, più intimamente spirituale, più pienamente realista e feconda. […] Ed appunto perché l’azione è una sintesi dell’uomo con dio, essa è in perpetuo divenire, come travagliata dall’aspirazione d’una crescita infinita”. (Ibidem).
L’uomo e la natura sono indissolubilmente interagenti ed è nella natura che l’uomo esperimenta se stesso. Questo “essere nella natura” permette all’uomo tramite l’esperienza di svilupparsi e conoscersi. Tale pensiero è presente nello strumentalismo di Dewey: “Il posto della natura nell’uomo è non meno significante del posto dell’uomo nella natura. L’uomo nella natura è l’uomo soggetto alla natura, nell’uomo, riconosciuta ed usata, è intelligenza ed arte”. (Esperienza e natura).
Un agire e fare, perché è solo attraverso l’esperienza che si coglie il senso della vita, ed è l’ambiente naturale che sottoponendoci a continui stimoli ci sprona a reagire e ad adattarci in una continua trasformazione e sviluppo. Tra uomo e natura vi è una continua interazione, scambio, coevoluzione; tra ogni essere vivente ed il suo organismo vi è un mutuo scambio di esperienze verso nuove realtà. Anche il malessere può essere considerato come stimolo ad un adeguamento comunicativo con l’ambiente.
“In primo luogo, l’interazione dell’organismo e dell’ambiente, che si traduce in qualche adattamento che rende possibile l’utilizzazione dell’ambiente stesso, è il fatto primario. La conoscenza non è qualcosa di separato e di sufficiente a se stesso, ma è coinvolta nel processo da cui la vita è mantenuta e sviluppata. I sensi perdono il loro significato di ingressi alla conoscenza, per assumere quello di stimolo all’azione. Per un animale, un’affezione all’occhio o all’orecchio non è un’oziosa materia d’informazione intorno a qualcosa d’indifferente che accade nel mondo. Ma è un invito e uno stimolo ad agire. Ha le qualità di un incitamento, non di una contemplazione”. (Dewey, Ricostruzione filosofica).
http://www.articolista.com/salute-e-benessere/le-basi-filosofiche-della-naturopatia1.html
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