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domenica 25 ottobre 2009

Da 7 anni non vede più le figlie rimandate oltralpe.

Cari genitori,

la mia storia, identica alle centinaia riportate nel Documento di Lavoro del Parlamento Europeo, è quella di una mamma a cui riesce difficile continuare a vivere dopo tanti anni di lotta contro lo Jugendamt.

Ciò che ho patito è quanto patirà Marinella, è quanto patiscono tutti i genitori, mamme e papà, i cui figli, che hanno tentato di salvare venendo in Italia, vengono invece rimandati nel paese dei Germani.

Mi esprimo in questo modo perché mi riferisco ai paesi europei di lingua tedesca, la Germania, l’Austria e la Svizzera tedesca, gli unici ad essersi dotati di uno Jugendamt, gli unici che invece di riconoscere il valore e lo stato giuridico della famiglia come cellula primaria della società, considerano i bambini residenti nel loro territorio una proprietà di stato.

Ho due figlie che ho amato più della mia vita e che mi sono state sottratte dallo Jugendamt mentre ero in ospedale. Nessuna meraviglia, anche la sottrazione attuata mentre il genitore straniero è in ospedale è una tattica ben collaudata e usata spesso dallo Jugendamt. Il genitore tedesco si presenta a far visita a quello malato con un mazzo di fiori ed ogni attenzione possibile, mentre si è già accordato con lo Jugendamt perché subito dopo i bambini vengano portati via.

Una volta sottratti i bambini tutto il sistema si mette in moto per criminalizzare, colpevolizzare ed umiliare il genitore straniero, perché non abbia più contatti con i propri figli. Una delle umiliazioni, è l’imposizione delle visite sorvegliate, in “ambiente protetto” come si dice in Italia, che non hanno nessuna ragione di essere se non quella dell’ultimo pezzo del puzzle: colui che “sorveglia”, che spesso non è neppure psicologo, ha il compito di trovare, durante quegli incontri, il motivo, la scusa per sospendere in eterno i contatti tra i bambini e quel genitore. Non è raro che il lavoro di questo controllore che troverà il motivo di separare per sempre il genitore straniero dai suoi figli venga fatto pagare proprio dal genitore che si sta defraudando dei propri diritti.

Ho lottato dal 1999 per riavere le mie due figlie. Attorno a me si è stretto un comitato di cittadini che ha organizzato manifestazioni e comizi per aiutarmi. Non è servito a nulla.

Ad un certo punto vengo a sapere che mia figlia maggiore non vuole più vivere, perché lontano da me. E’ un pensiero terribile, soprattutto se è quello di una bambina di dodici anni. Riusciamo a vederci, mia figlia vuole fuggire, fuggiamo, è il 2003. Devo qui sottolineare che non ho costretto mia figlia a seguirmi, che non l’ho sradicata dal suo ambiente contro la sua volontà: sono invalida, costretta su una sedia a rotelle con i piedi parzialmente amputati.

Siamo venute in Italia, abbiamo chiesto protezione, asilo, per scoprire invece che i cittadini europei non hanno diritto a niente di tutto ciò; se un cittadino europeo ha vissuto in Austria o in Germania ed in quei paesi viene discriminato e perseguitato nessuno è in grado di aiutarlo, è lasciato solo a se stesso e se tenta di sottrarsi alle discriminazioni per proteggere innanzi tutto i suoi figli, diventa un criminale. Eravamo di fronte ad un vicolo cieco, siamo rimaste in Italia, dovevo tutelare mia figlia. Le leggi e le convenzioni, benché ratificate da tutti i paesi cosiddetti civili, non vengono rispettate dallo Jugendamt, non proteggono i bambini dalle sottrazioni di stato, allora deve farlo il genitore non-tedesco, a costo di mettere in gioco la propria libertà e la propria vita.

Benché le istituzioni italiane non potessero aiutarci, i cittadini italiani ci hanno ridato il sorriso. Mia figlia ha ricominciato ad amare la vita, ha imparato l’italiano con una sete di sapere e di conoscenza impressionante per una ragazzina di 12 anni. Abbiamo visitato i musei, studiato l’arte, la storia, la cultura, abbiamo amato la gente che ci ha amato come facessimo parte da sempre del quartiere e della città. Per un intero anno. Poi è arrivata la polizia. E questo è quanto riportano i giornali di allora: “Una importante operazione di polizia giudiziaria è stata compiuta dagli agenti del commissariato di xxx, che ha portato alla cattura della cittadina xxx, 39 anni, che deve scontare una pena di anni tre di reclusione nel proprio Paese di origine per avere sottratto la figlia minore al padre, a cui il tribunale l'aveva legittimamente affidata. […] Alla donna e madre della ragazza è stato notificato un ordine di cattura internazionale disposto dall'autorità giudiziaria su stretta collaborazione dell'Interpol e subito dopo associata sotto scorta al carcere femminile di xxx. La Polizia di Stato nel frattempo ha comunicato l'avvenuto arresto della ricercata all'ufficio del procuratore generale, ai ministeri di Grazia e Giustizia, degli Interni e degli Esteri per tutti gli adempimenti diplomatici.IL GOLFO 3.07.2004

Per le autorità il caso era chiuso. Né la polizia, né l’assistente sociale, nessuno si è preoccupato di sapere cosa ne sarebbe stato di quella ragazzina, di come era stata “legittimamente affidata”, di come da anni venisse impedito “legittimamente” il contatto con l’altro genitore.

Mia figlia è stata rispedita come un pacchetto, senza permetterci un ultimo abbraccio, senza un briciolo di umanità e da allora, da quel 2004 non l’ho più rivista. La bambina che in quell’anno mi diceva di voler continuare a combattere anche da sola, per riunirsi a me, oggi non vuole più neppure sentire il mio nome.

Oggi, entrambe le mie figlie sono state germanizzate. Per raggiungere questo fine mi è stato impedito ogni contatto con loro, a questo fine si è sparlato di me per tutti questi anni, a questo fine si è lavorato perché una volta maggiorenni mi rifiutassero completamente, perché potessero dirmi con il cuore freddo del nord Europa “ognuno è responsabile del proprio dolore”.

Vorrei farvi un’ultima domanda: quanto tempo ancora impiegherà l’Europa, l’Italia ad aprire gli occhi su quanto succede al di là delle Alpi? Quanti bambini ancora dovranno essere germanizzati? Quante volte ancora non si controllerà a cosa vanno incontro questi bambini rimandandoli al di fuori dell’Italia? Perché non si ascoltano le ragioni del genitore che all’Italia chiede aiuto? Perché non si vuole prendere atto del fatto che rimandare un bambino nella giurisdizione dello Jugendamt significa rovinargli la vita? E con la sua quella di ormai tanti, troppi genitori, come me.

Natasha Chudoba - Roma


25 ottobre 2009







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